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metànoia

“Quando il Tao abiterà in voi, le vostre pupille saranno come quelle del vitello appena nato”. Questa frase è sconvolgente, quanto il titolo Primavera silenziosa della Carson, qualcuno mi ha ricordato. Quella riflessione è anche un invito ante litteram ad indagare i frutti benefici ed i mali dell’olocene, ad indagare di cosa possa essere gravida la physis, e di come si possa essere graziati. No avrei mai potuto immaginare e sperare tanto dalla mia esistenza. In quella frase (scritta ahimè, un tempo solo detta) si evoca la magnifica esperienza di ciò che resterà ignoto (sentire quegli occhi che vengono al mondo) e non può subitamente non venire in mente quel lampo di luce che tutto rischiara di Scoto Eriugena: “Della meravigliosa Divina ignoranza, in virtù della quale Dio non capisce che cosa lui stesso è”, riportato dal sommo Schopenhauer a proposito della sua tesi, forse unica, certo abissale e perciò dimenticata del rapporto non causale tra volontà e mondo. E si evoca (somma epistemologia, quella del cuore e della mente insieme) l’eterna unicità di un’esistenza. So che quando morirò mi tornerà in mente anche l’immagine degli occhi d’un vitellino dopo aver succhiato il latte dalla madre visto in una primavera a Vulcano, ignaro di quello che sarebbe capitato di lì a poco, pregiata carne di una malintesa fagocitazione. Questo ed altro mi tornerà per essere vissuto nell’epoca dei soggetti deboli e dei più deboli tra i deboli. Cosa siamo? L’empatia cosmica che oramai mi accompagna profondamente sarà la mia felice croce. Come può la physis giungere a tanto? Della meravigliosa divina ignoranza, allora, e di quell’altra rivelazione, citata sempre da Schopenhauer, del mistico Angelo Silesio “So che senza di me Dio non può vivere un solo istante”, ad intendere l’unicità del tutto e la sua tesi originalissima del mondo come macrantropo, piuttosto che dell’uomo microcosmo. Certo, avremmo preferito non portare Croci, non voleva essere questo il senso della Storia; avremmo preferito non trovarci a fare e pensare tutto quanto gli altri non fanno e pensano. Essere uniti nella gioia dell’esistenza, come lo sono i cuccioli d’una gatta. Ma non è andata così, e l’assalto al cielo si rivelò una apologia tragicomica del capitalismo ed una ennesima devastante guerra alla natura. Questo è quanto, quando si sa che vi sono cose che non si possono dire e conoscere. Le risposte alle domande, le decisive, sono quelle che non si danno. Per esempio, quanto abbia a che fare l’olocene con tutto questo? Se ad un capo è vero che il principium individuationis non si dà sub specie aeternitatis ma ben oltre la precisazione di Schopenhauer, semmai alla Feyerabend, ossia come sempre modulato storicamente, all’altro capo non c’è concesso neppure il panteismo, alcuna teofania, giacché certe domande con l’intera carica etica restano insondabili in assoluto. È il capo in cui non si dà neppure trascendenza, solo la decisiva ed abissale negatività. In essa è l’ignoto, non l’origine.