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riflessioni sulla Morte

Se non si vive allo stesso modo, non si muore allo stesso modo. Potremmo dargli la forma di un modus ponens, e giocare un po’ di logica, specie se antecedente e conseguente li considerassimo entrambi veri. Consideriamo una banalità osservare che non si vive la propria vita allo stesso modo, ma la ricaduta sull’altro versante, raramente è stata considerata. Come la vita che si conduce, anche la morte non potrà mai essere la stessa. Si suppone una vita al minimo consapevole, ossia propria di chi di tanto in tanto "astrae" da se stesso..

Ho sempre pensato e continuo a pensare che la verità di una qualunque proposizione fattualmente rilevante o modello teorico o Weltanschauung siano riconducibili alla loro genesi. Da Protagora a Latour, passando per Nietzsche e Feyerabend, la verità consiste di un rapporto relazionale dinamico, ossia va ricondotta al contesto che la genera, ai bisogni individuali e quelli collettivi storicamente determinati che la spiegano. Tutto il maledetto meccanicismo, determinismo e riduzionismo che hanno caratterizzato nelle intenzioni e nella prassi l’approccio teorico al mondo nella modernità, ad es.,  era funzionale ad una forma di vita, ad un processo storico-sociale in fieri. Etc. etc. L’approccio genetico, ovviamente, non elimina «il Mondo». Infatti, esso risponde a quanto pensiamo e facciamo. È depositario anch’esso della verità. Anzi, ne è l’unico depositario., giacché di esso facciamo parte, come una sorta di increspatura. Le nostre verità vi girano solamente attorno. Più lontane sono, maggiori sono i danni che al mondo produciamo; più sono vicine, più torniamo sui nostri passi, quelli abbandonati. In una nuova veste, certamente.  Così, lo spirito dei primitivi non era più rozzo del nostro e la scienza moderna o chi su essa riflette riscopre motivi antichi. In genere, tutto ciò che nella ricerca della verità conduce alla separazione, è poco veritiero, sa troppo di Storia e poco di ontologia. Tutto ciò che conduce all’unità, ha ritrovato la risonanza.

Ma torniamo alla Morte, che nella sua supposta relatività, può condurci all’assoluto. «Quando si muore, si muore soli», ma le solitudini potrebbero non essere le stesse. Ed è questo che conta. Conobbi Lucy circa tredici anni fa. Una cagnolina randagia abbandonata, come tante dalle mie parti. Era stata trovata dal proprietario di un ristorante, sulle colline di una città siciliana. Magra, sporca ed affamata. Per vie traverse, arrivò a me. Avevo già dei gatti, ma non avevo mai avuto un cane, che mi accompagnasse nella vita.

 Rammento ancora il momento in cui la vidi per la prima volta. Rammento i suoi occhi nei miei. Rammento il suo dirigersi verso di me. E fiat lux. C’è una motivazione storica, anche qui, del perché molte persone si affezionino in modo speciale ad un animale nel nostro tempo, e su ciò sorvolo. Quel che mi interessa adesso non è la genesi, ma il fatto.

Il fatto è per me sconvolgente, adesso che quel mucchietto di pelo randagio non c’è più. Che quegli occhi marroni, profondi che mi cercavano, quando c’ero e quando ero assente, non vi sono più. Per quanto siano figli della domesticazione, non sanno fingere. In una foto, in un video, sono quello che sono. Niente o quasi mediazioni. In una epoca in cui non vi sia gesto umano che non sia una costruzione, una messa in scena, il rapporto con un animale prima o poi per forza di cose sconvolge. Può squarciare quel che sei.

Qual è il fatto? Se fossi morto 20 anni fa, ora so, non sarei morto come morirei adesso. Non ringrazierò mai abbastanza la mia esistenza di avermi dato questa opportunità: non morire adesso come sarei morto venti anni fa. La compagnia di Lucy mi ha cambiato a tal punto la vita, mi ha procurato un tale salto, rispetto alle vicende della mia storia personale, che esse mi appaiono come semplici contingenze. Come dico a me stesso: lei rappresenta il mio legame con l’eternità. In questa “metafora” vi è tutto lo spessore che mi ha sollevato dalla sola genesi degli avvenimenti. Non contano le motivazioni psicologiche personali, il vissuto etc. Conta questo semplice potentissimo fatto. Esso pretende che tu non ne colga il legame, ché non sarebbe più quel fatto. Esso esige un rispetto.

 

Sicché, non morirò come sarei morto un tempo. Quel tempo è passato. E il futuro è già adesso: in quella morte a cui ho avuto la fortuna di destinarmi. In fondo le vicende storiche, collettive od individuali, a questo dovrebbero condurci: ad elevarci sopra di esse, ad essere figli di ogni tempo.