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effetti collaterali

Ci sono momenti e luoghi del discorso in cui ciò  che conta non sta nella genesi di quanto si dice, ma nel risultato. Il rapporto è  lo stesso che c'è tra relativo ed assoluto. Ed è  il finito che si infinitizza. Ciò  è  certamente accaduto quando manichei, gnostici e saggi di qualunque tipo e sostanza hanno riconosciuto il valore in sé  di qualunque essere senziente ( e dove spingere  il senziente). Valore dato dalla sua fragilità.  La vera questione non è  la morte, ma il considerare l'essere ogni giorno ancora vivi. Se c'è  qualcosa di metafisicamente fondamentale la civiltà  ci ha consegnato, la civiltà  in quanto imperio della mediazione, tra soggetto e oggetto anzitutto, sta nell'aver  sviluppato un senso abissale del finito. Lo diceva bene Hegel. Gli va riconosciuto. "Nella vita che non è  spirito, il nulla non esiste come tale. " E  con ciò  abbiamo perduto la spontaneità  dell'immediatezza. Non siamo più  innocenti. Paradossalmente, però,  è  proprio la mediazione, quella del sapere scientifico, che può  riportarci ad una immediatezza ritrovata. La prima negazione, ne consente un'altra.  Quando si scopre che oltre il 90% della vita è  vegetale ( e che vita!) e che la animale e la umana sono solo "tracce", beh, questo è  un invito.