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"nella terra di nessuno"

Taluno già osservava in anni non sospetti “come la competizione generale sul mercato del lavoro, così le discriminazioni fanno abbassare il saggio generale del salario e incrementano la redditività del capitale. Il loro utilizzo è tanto vecchio quanto lo stesso capitalismo. La storia del proletariato è anche la storia della competizione e della discriminazione all’interno di questa classe, che ha diviso i lavoratori irlandesi dai britannici, gli algerini dai francesi, i neri dai bianchi, i nuovi immigrati dai primi colonizzatori e così via, pressoché dappertutto.”* Tali precisazioni erano rivolte politicamente verso anche "i sinistri" d'allora e le loro "prese di Partito" sempre e cmq pro-lavoratori al semplice scopo d’autolegittimarsi nel quadro della competizione politica, sebbene i salariati di queste "anime belle e pie" potessero fare a meno da sempre, come tutta la storia della classe dei salariati dimostra vieppiù nei Paesi a vecchio capitalismo, dove quelle medesime anime nessun ruolo particolare avevano mai giocato, mentre dove lo avevano avuto si era subitamente prodotto l'inferno. Ora ci troviamo di fronte ad un caso che cito solo perché a noi vicino, ma che in realtà è la regola da decenni, di lavoratori e sottoproletari carognamente inferociti contro altri lavoratori nella veste di veri e propri schiavi dei nostri tempi. Entrambe i gruppi esemplificano bene quell'esercito industriale di riserva di marxiana memoria il quale nelle sue articolazioni non era certo fatto di soli disoccupati e per giunta come le attuali statistiche li computano. Se fosse per i rosarnesi, i calabresi, gli italiani ed i salariati tutti oggi i governi avrebbero di già emanato legislazioni ben peggiori della Bossi-Fini et similia. Come l'integrazione dei lavoratori nel capitalismo compiutasi nelle aree industrializzate sino a trent'anni orsono ha espresso ciò che di meglio e quanto il sistema basato sull'organizzazione capitalistica di industria e servizi poteva fornire previa una riduzione del tasso di concorrenza tra i salariati (la forma capitalistica della lotta per l'esistenza), adesso (si fa per dire, dobbiamo risalire infatti alla sua origine circa appunto trent'anni fa) lo spiegabile incremento di quella concorrenza ha prodotto una massa di disperati in giro per il pianeta ed un superamento delle dinamiche salariali classiche verso forme di neoschiavismo evidenziabili in ogni ambito lavorativo e date da un incremento statisticamente rilevabile delle ore settimanali di lavoro in parallelo ad una riduzione del salario reale. Potremmo misurare questo rilevato neoschiavismo come declino pronunciato del rapporto tra reddito da lavoro dipendente (tutto) e ore lavorate, ma al denominatore potremmo porre l'incremento del rapporto tra ore lavorate e numero di salariati (tutti). Lo stesso risultato otterremmo se tenessimo conto solo dei salariati del settore privato. Sul piano qualitativo, l'ideologia da anime belle dell'internazionalismo proletario (nella realtà i tempi della “integrazione”) ha ceduto da tempo il passo ai comportamenti barbari dei salariati gli uni verso gli altri, la vera base sociale dei gangster che oggi stanno seduti nei governi di destra o sinistra che siano. Un lavoratore di Termini Imerese, e solo a titolo esemplificativo, pochi giorni fa riassumeva la sua protesta dicendo che i suoi capi Fiat avrebbero dovuto non esportare la produzione all'estero. In sostanza: che crepino altri potenziali salariati con i loro figli, nazionalisticamente ci siamo prima noi. Qualunque governo non potrebbe fare di meglio! Lo stesso autore citato ebbe a continuare scrivendo che “La più importante di tutte le riforme compiute dal capitalismo fu naturalmente rappresentata dall’ascesa dello stesso movimento operaio. La continua estensione del diritto di voto fino ad interessare l’intera popolazione adulta, nonché la legalizzazione e la tutela dell’attività sindacale, integrarono il movimento operaio nelle strutture di mercato e nelle istituzioni politiche della società borghese. Il movimento operaio divenne da allora parte integrante del sistema, a condizione che questo si conservasse, e così sembrava, proprio per la capacità del sistema stesso di mitigare le contraddizioni di classe per mezzo delle riforme. Peraltro, queste riforme presupponevano condizioni economiche stabili ed uno sviluppo ordinato, che si potevano realizzare attraverso una crescente organizzazione sociale, di cui le stesse riforme erano parte integrante”.* Quelle stesse condizioni economiche oramai mutate verso un continuo declino dell’industrialismo capitalistico hanno prodotto speculativ capital da una parte e neoschiavismo dall’altra. Se, come deve essere, ci “è vietato l'abuso ideologico della nostra esistenza”, occorre stare in una sorta di “terra di nessuno” e considerare la natura dei salariati oggi per quella che è: i loro comportamenti solo l’unica vera base e sostegno della barbarie politica e sociale nella quale viviamo.

* Paul Mattick, I limiti delle riforme.

 

07/04/2011