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BREVI CONSIDERAZIONI SUL TESTO DI LIERRE KEITH “IL MITO VEGETARIANO”

 

1)      Dato che LR è una primitivista, da tutta la sua argomentazione ne deriva che si può essere antispecisti senza essere vegani. Il tipo di rapporto uomo-natura da lei prefigurato rende la faccenda del tutto condivisibile. Nella sua versione ‘forte’ ciò comporta l’assunzione di carne, che rientra correntemente nella dinamica dei processi simbiotici (naturali) da lei indicati. In particolare, LR rileva la necessità di tornare alle ‘policolture perenni’, come correlato dell’abbattimento di qualunque forma di sfruttamento e dominio umano su flora e fauna (sottolineo su flora, di cui i veg non si preoccupano, le monocolture per quanto mi riguarda sono campi di concentramento per esseri vegetali domesticati). Nella mia versione ‘debole’, invece, penso si possa accettare tutto quanto LR rileva ‘limitandosi’ all’assunzione di uova e latticini, attraverso una loro disponibilità che non passi – come nella stessa LR - dalle forche caudine della produzione industriale. Dunque sì vegetariani. Quella mutazione antropologica, come la chiamo, che ci consentirebbe di superare la catena alimentare e fornire un senso autentico e non ipocrita alla nostra presunta ‘superiorità spirituale’ sulle altre specie.

 

2)      Il vero e proprio ‘pugno nello stomaco’ l’autrice lo conduce contro i veg considerando come la stessa agricoltura (leggi monocolture annuali) sia un agente micidiale contro le specie e le risorse, a cominciare dall’acqua; come l’agricoltura sia, con la zootecnica, la principale causa di ecocidio (oltre quanto accennato, esaurimento terre coltivabili, riscaldamento globale, inquinamento) e di come i veg non si rendano conto o non rilevino questo fatto per loro esiziale. La differenza tra loro ed i ‘carnivori’ è solo una differenza di grado e di tipologia, contribuendo entrambi alla devastazione del pianeta (oltre le specie vegetali e animali definitivamente compromesse, l’impossibilità di ricostituire l’humus). Che l’agricoltura dai suoi albori rappresenti una guerra contro gli ecosistemi è un fatto noto e per ciò LR chiama in causa la necessità di un per quanto improbabile ritorno alle policolture perenni (di cui tuttavia si comincia a discutere tra gli esperti). 

 

3)      LR riporta una serie di studi da cui si evincerebbe la necessità per la nostra specie di assumere alimenti di origine animale, e di come la nostra fisiologia si sia evoluta in tal senso (grassi saturi, fallacia ipotesi lipidica dunque, necessità triptofano, danno isoflavoni etc, vado a memoria). Di come non sia in sostanza una questione di soli ‘integratori’. Mette in luce poi l’estrema pericolosità della soia ed il business, complementare a quello della carne, dell’industria veg.

 

4)      Il testo è recente, del 2015, ed invito a leggerlo per poterne in specie eventualmente criticare le parti sulla necessità di assumere cmq (nelle forme indicate) una qualche forma di alimenti di origine animale. Sulla questione dell’agricoltura e del ruolo distruttivo della stessa alimentazione veg, invece, mi pare all’autrice non si possa contestare nulla. L’unica osservazione critica che mi sento di rivolgerle in quanto primitivista è il fatto di non considerare la possibilità di adottare tecnologie che usino forme di energia potenzialmente infinite (dunque non fossili. Vedi orgonica, energia di punto zero, fusione fredda, quelle individuate da Tesla ed altre). Le conseguenze su un rinnovato modus vivendi della nostra specie sarebbero inimmaginabili. Potremmo immaginare un pianeta tornato alle foreste, le paludi, le praterie etc. con tecnologie domestiche che non ci priverebbero di luce, calore, comunicazioni etc. I primitivisti difettano di immaginazione o siamo noi illusi?

 

5)      Ripeto cmq: occorre che si passi per questo testo, visto che lo sì è usato da un lato impropriamente per attaccare tout court i veg tralasciando la parte eversiva contro tutta la civiltà e dall’altro attaccandolo sulla supposta superiorità umana dell’approccio veg e obliando l’ecocidio indotto dall’agricoltura.

 

6)      Rilevo a margine che il dibattito in questione si estende con altre argomentazioni e conclusioni anche agli ecosocialisti, alla bioeconomia, ai teorici della decrescita, a Parecon e all’ecologia profonda.  Una lettura di quella che va sotto il nome di agroecologia (specie in relazione all’humus) sarà una delle mie priorità.